La Carnia raccontata da voi

Arta Terme

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         06 feb 2025 01:21
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La Carnia raccontata da voi


Il Filo delle Storie è lo spazio dedicato ai racconti di chi ha vissuto queste montagne o sogna di farlo. Scopri le esperienze condivise dai lettori della newsletter e lasciati ispirare dalla magia della Carnia.


Ci sono luoghi che parlano attraverso la voce di chi li ha vissuti, sentieri che si intrecciano con ricordi, tradizioni e incontri.
Il Filo delle Storie nasce proprio per questo: per raccogliere e custodire le emozioni di chi ha attraversato la Carnia, lasciandosi sorprendere dalla sua bellezza autentica.


Ogni mese nella newsletter che condividiamo con i nostri lettori, un nuovo tema ci guida in questo viaggio collettivo, fatto di racconti, immagini e parole che danno vita a una mappa di emozioni condivise. Chi ha già camminato tra questi boschi o assaporato la quiete delle montagne ci regala un frammento della sua esperienza. Chi ancora sogna di venire, può lasciarsi trasportare e immaginare il proprio viaggio attraverso le storie di chi c’è stato.


In questa raccolta troverai ciò che i lettori della nostra newsletter hanno voluto condividere: piccoli tasselli di un grande mosaico che si rinnova mese dopo mese. Ti invitiamo a immergerti in questi racconti e, se vorrai, a farne parte anche tu. 


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Bernardino

Parlare delle tradizioni della Carnia non è mai semplice, perché sono molte e variegate. La mia esperienza, però, è legata soprattutto alla cucina. Già negli anni Novanta ebbi il piacere di conoscere e apprezzare il Sig. Gianni Cosetti, che gestiva un ristorante a Tolmezzo. All'interno del locale, ogni dettaglio parlava della tradizione carnica: dalla cucina al personale, che indossava abiti tipici, fino all'arredamento stesso del ristorante. Gianni era simpaticamente chiamato 'Orso' per il suo carattere schivo che rispecchiava perfettamente quello della gente carnica...almeno finché non entri in un rapporto d'amicizia!

Elena

I miei ricordi d’infanzia sono legati all’albergo Samassa di Forni Avoltri, siamo negli anni ’70.
Arrivavamo lì con la mia famiglia, in corriera da Trieste (non avevamo la macchina), e quando si raggiungeva la fermata di Comeglians, si cominciava a sentire parlare in friulano con l’accento carnico. Quello era il segnale che la meta era ormai vicina. Per me era una tradizione mangiare tutti i “pasticci” (primo e secondo, sia del pranzo che della cena…e finché non erano finiti!) preparati dalla signora Anna, originaria di Braies ma sposata con il padrone dell’albergo. C’era poi Full, il San Bernardo che faceva parte del soccorso alpino insieme al padrone, ma aveva una paura folle dei tuoni e dei fulmini.
Vicino all’albergo c’era la caserma, e il paese era vivo e animato, nonostante portasse ancora i segni di un’alluvione avvenuta anni prima. Poco distante, lungo la strada per Collina, c’era una stalla e proprio in quella direzione si trovava il sentiero che conduceva alla sorgente dell’acqua che sarebbe poi diventata la Goccia di Carnia. Ricordo ancora la roccia da cui sgorgava, un’immagine che è rimasta vivida nella mia memoria...

Sabina

Sutrio, la tradizione del legno!



E infine Francesca, con la sua storia vincitrice per il mese di gennaio.

“Mamma, mamma, qualcuno chiama dal bosco!”. E’ mio figlio. Ha sentito delle grida provenire dal tappeto di abeti e larici che si trova sul versante di montagna di fronte a noi ed è preoccupato. Più di una volta il nonno gli ha raccontato di persone, anche del paese, che si sono smarrite nel bosco perché, al calar della luce, hanno perso ogni punto di riferimento e hanno trascorso anche un’intera notte fra alberi e freddo. Anche a me questi racconti hanno sempre fatto rabbrividire e così gli chiedo di spiegarsi meglio. Tra l’altro in questi giorni di vacanze natalizie Tualis è abbastanza frequentata, sia da parenti che vengono a trovare familiari autoctoni, sia da turisti, anche stranieri. Non mi sorprenderebbe che qualcuno si sia perso nel bosco. Niccolò mi porta davanti a casa e, rivolto l’orecchio verso la montagna “Ascolta!” mi dice. In effetti c’è qualcuno che urla o, meglio, lo fa a intermittenza, o meglio ancora sta chiamando qualcuno. Le grida che giungono dal bosco non sono richieste di aiuto. Chi si trova lì sta urlando dei nomi. Ma quali? E’ forse un rito di evocazione di spiriti? La cosa si faceva interessante. 

A svelare l’arcano è, ancora una volta il nonno, uno dei tanti Di Piazza che popola Tualis. Le persone nel bosco non sono turisti sperduti ma “cidulars” del paese che stanno compiendo “il tir de las cidulas” ci dice il nonno in friulano con quella “a” affossata, tipica di questo dialetto, quasi che, mentre la pronunci, te la volessi ingoiare. E così inizia un’altra affascinante narrazione di nonno Di Piazza, su questa tradizione tutta tipicamente carnica.

Las cidulas sono delle rotelle di legno di abete che vengono incendiate e poi lanciate in aria, in questo caso in mezzo al bosco, in un’area aperta. Al lancio di ciascuna cidula viene pronunciato il nome di una coppia del paese, coppia reale o possibile. Spesso sono gli stessi cidulars che formano coppie fittizie alle quali, con il lancio, augurano una felice vita insieme. Spesso vengono accoppiati anche i nomi di bambini del paese, future possibili coppie. I cidulars, ci dice il nonno, si divertono molto durante quest’attività. Avranno sicuramente acceso un fuoco per scaldarsi, si saranno portati del cibo e del buon vino mentre fanno volteggiare cidulas ben auguranti. “A breve” continua il nonno “torneranno in paese e così li potrete vedere”. 

Io e mio figlio rimaniamo ancora un po’ col naso all’insù ad ascoltare questi richiami e a veder volteggiare i piccoli dischi infuocati che, all’imbrunire, sembrano stelle cadenti nel firmamento di quel microcosmo che è Tualis. Poi le grida si interrompono ma, dopo qualche tempo risate e musica iniziano a sentirsi per il paese. I cidulars sono rientrati e ora si uniscono a un trio di “coscritz”, i coscritti, ragazzi del luogo che nel 2025 compiranno 20 anni e iniziano ad andare di casa in casa, accompagnati da una chitarra, una fisarmonica e del buon vino. 

Passano di corte in corte, per invitare tutti al gran ballo che, quella stessa sera, si terrà nel bar del paese. Si presentano alle famiglie e promettono una serata di allegria e divertimento. Volteggiano un po’ impacciati sui ritmi di qualche ballo friulano come la Ziguzaine, la Furlana o la Quadriglia. Sono balli della tradizione, che non appartengono alla loro generazione ma, le cui note sanno di casa, calore, famiglia, forse nonni o bisnonni. I coscritti dopo la danza ricevono qualche dono, cibo o una mancia e poi passano alla casa successiva. 

Qualche ora più tardi comincia la festa e noi decidiamo di andare e dare un veloce saluto anche per curiosare un po’. La sala del bar cittadino non è molto grande e risulta gremita. Le sedie sono state disposte circolarmente all’interno della sala e nel mezzo, ancora una volta ci sono i coscritti. Ridono, rossi in volto per il calore proveniente dal focolare ma anche per qualche bicchiere di troppo. Dopo poco ricominciano le danze al suono di chitarra e fisarmonica. I coscritti cominciano nuovamente a danzare, stavolta più disinibiti e al termine del primo ballo invitano tutti ad unirsi a loro. Tra gli anziani e le anziane del paese ci sono anche coppie di ballerini provetti e così, largo ai danzatori! Tutti si uniscono ai festeggiamenti, anche solo ancheggiando da fermi. Nella sala adiacente è pronto un rifresco con prodotti tipici e, al solito, del buon vino. La serata continuerà fino a tarda notte. Questi ragazzi entrano a pieno titolo nel mondo degli adulti e gli inviatati vogliono rendere loro onore. Noi partecipiamo un po’ ai balli e anche a rifresco successivo, poi decidiamo di rientrare. La festa continua tra giovani. 

Uscendo veniamo avvolti dal freddo pungente della montagna carnica. Il lampione illumina la chiesa che si trova nel punto più alto del paese, di fronte al bar, come in un’antica acropoli dedicata agli dei pagani. In fondo, penso, che anche questa tradizione de “las cidulas” mescoli credenze e usanze che hanno radici lontane, forse celtiche e che sanno di fuoco purificatore, di legno, aria e musica. Ingredienti che in Carnia non mancano mai. Ah, dimenticavo il vino! 

E così in questa notte profumata ringrazio per aver avuto l’opportunità di conoscere quest’antica tradizione e scambio forse una stella cadente con una cidula ben augurante mandata dal cielo. 

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